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Da diverso tempo, nei dibattiti e discussioni sul tema della sostenibilità è entrato in modo massiccio il tema del purpose delle organizzazioni. Tema certamente non nuovo ma sicuramente al centro di un interesse, potremmo dire, rinnovato.
Di cosa si tratta? Della solita vision rivista e corretta a fini markettari? O di qualcosa di più profondo?

Cominciamo col dire che purpose, riferito all’organizzazione, in italiano significa scopo, proposito… e che definirlo ha molto a che fare con la destinazione finale del viaggio intrapreso dall’azienda e quindi con il suo credo, con il perché questa azienda sta sul mercato.
Visto che non esiste in italiano un termine perfettamente aderente, utilizzeremo la forma inglese.

Illuminante ancora oggi, a distanza di oltre dieci anni, il Ted Talk di Simon Sinek dal titolo How great leader inspire action, nel quale lo scrittore anglo-americano teorizza il Golden Circle, ovvero i tre cerchi concentrici che muovendosi dall’esterno verso l’interno contengono il What, l’How e il Why dell’organizzazione.

The Golden Circle

Tutte le aziende si concentrano in genere sul proprio What (es. produrre computer performanti), un po’ meno sull’How (es. computer ben progettati e facili da usare), molte poche pensano profondamente al loro Why.
Ma i grandi leader e le grandi aziende – sostiene Sinek – hanno la capacità di parlare e di ispirare partendo dal Why, non dal What. “La gente non compra quello che fai, ma perché lo fai”. Questo proprio alla luce del fatto che è il perché a influire sulle emozioni e sui processi decisionali, inclusi quelli di acquisto.

Apple fa scuola

Un’indagine condotta dal Boston Consulting Group, l’azienda percepita come la più innovativa al mondo è da oltre 15 anni la Apple. Con il suo claim Think Different, coniato nel 1997, è riuscita a rompere lo status quo imponendosi come azienda “diversa e alternativa” – un esempio iconico e fortemente ispirativo del why aziendale, il suo, oltre che un’efficace espressione del brand-purpose.

A distanza di oltre 20 anni, milioni di giovani consumatori continuano a considerare quel marchio e quell’azienda semplicemente diversa e acquistano i suoi prodotti a prescindere da ogni considerazione sulle performance (What) o sulla facilità d’uso (How).

Il purpose nel contesto attuale

Come ha scritto il professor Luca Solari nel testo Alla ricerca del purpose: il senso delle organizzazioni tra aspettative degli stakeholder, macro-trend e implicazioni sul business, “il purpose esiste solo nell’ambito di una relazione, non è un’idea astratta, non è un obiettivo individuale, ma un senso di direzione che si imposta all’interno di un complesso di relazioni sociali con attori diversi”.
Questa suggestiva visione del purpose sembra presupporre una definizione collettiva dello scopo dell’organizzazione, attraverso un percorso identitario che si costruisce nel tempo attraverso l’interazione tra i suoi partecipanti: gli stakeholder.

D’altro canto, può funzionare un’organizzazione che “impone” ai propri membri il suo purpose?
Sono i membri dell’organizzazione a doversi adattare al purpose dell’azienda o, viceversa, è il purpose che va costruito attraverso un percorso che metta al centro il percepito e l’aspirazione dei singoli appartenenti all’organizzazione?
E ancora: è tuttora possibile distinguere due piani diversi – quello dell’imprenditore e quello degli appartenenti all’organizzazione – che non necessariamente devono convergere rispetto allo scopo dell’azienda, ovvero al “perché” e alla destinazione ultima da raggiungere?

Come costruire il purpose

Noi pensiamo di no per diverse ragioni. Molti spunti ci portano cioè a dire che ogni organizzazione che vuole durare nel tempo deve essere in grado di definire e comunicare in modo chiaro il proprio purpose, così da attrarre solo quegli individui – clienti e dipendenti – fortemente aderenti a quel purpose e, di conseguenza, profondamente motivati, responsabili, ispirati e fedeli.

Organizzazioni: come cambia il Why

Le grandi sfide del nostro tempo – come il riscaldamento globale, l’esaurimento delle risorse del pianeta, le disuguaglianze economiche… – sono in parte un sottoprodotto di quella forma di capitalismo oggi sotto accusa, perché fortemente orientata alla soddisfazione degli shareholder e dunque al profitto.

L’ondata positiva che l’Agenda 2030 dell’ONU ha creato nel mondo è dirompente e sta scuotendo sia le istituzioni, fortemente coinvolte nel conseguimento degli obiettivi SDGs per lo sviluppo sostenibile, sia le aziende, che si trovano a porre al centro delle loro strategie la sostenibilità.
Oltre 180 amministratori delegati dei più grandi gruppi americani guidati da JPMorgan (tra cui Amazon, Apple, Microsoft, General Motors, Walmart, Caterpillar, Bristol-Myers Squibb) hanno firmato ad agosto 2019 un manifesto in cui dichiarano che l’ambiente e il benessere dei lavoratori devono venire prima del profitto.

Questa dichiarazione, proveniente dalla cosiddetta Business Rountable, rappresenta una rivalutazione del purpose in aperta discontinuità rispetto al passato, impegnando i firmatari a “investire nei loro dipendenti, proteggere l’ambiente, comportarsi correttamente ed eticamente con i fornitori, concentrarsi sulla qualità dei prodotti e dei servizi offerti e creare valore di lungo termine per gli azionisti”.

Giganti dell’abbigliamento come H&M, Kering, Nike, Levi Strauss e PVH hanno unito le forze per creare la Global Fashion Agenda, un’organizzazione no-profit che promuove la moda sostenibile, dall’uso efficiente delle risorse ad ambienti di lavoro sicuri, fino al riciclo closed-loop.
I clienti stanno boicottando i prodotti delle aziende i cui valori considerano contrari ai propri.
Gli investitori stanno migrando verso fondi ESG che mettono al centro del rating le performance delle aziende in tema di Environment, Social e Governance.

A riprova di queste tendenze, c’è la crescita esponenziale delle aziende che pongono la sostenibilità al centro della loro strategia, che predispongono bilanci di sostenibilità e che intraprendono la strada per diventare B Corp certificate (la certificazione B Corp è rilasciata dall’organizzazione No Profit americana B Lab Company a seguito di un percorso di assessment; 80 punti su 200 è il punteggio minimo necessario).
Le aziende certificate B Corp oggi sono oggi quasi 3.500 in 71 paesi del mondo; tra queste ci sono aziende del calibro di Patagonia, Danone e, in Italia, Alessi.

Le Società Benefit

L’Italia è stata la prima nazione, dopo gli USA, a prevedere un’apposita normativa che riconosce come forma giuridica le Società Benefit intese come società con scopo di lucro, ma che integrano nel proprio oggetto sociale lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente.
La legge è la n. 208 del 28 dicembre 2015, che identifica come Società Benefit, più esattamente, le società che nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse.

Le Società Benefit

Per diventare Società Benefit – come sono, in Italia, Chiesi Farmaceutici, Aboca, Danone e Illy Caffè fra le altre – non è richiesto il possesso della certificazione B Corp. Le società certificate B Corp hanno invece due anni di tempo dalla prima certificazione per potersi trasformare in Società Benefit.

A fronte di questa potente onda, tutte le maggiori aziende e i loro leader stanno mostrando un rinnovato impegno nel mettere al centro del proprio purpose le sfide per rispondere ai bisogni sociali ed ambientali, nel rispetto e nell’interesse di tutti gli stakeholder.
Per mettere in moto il purpose è necessario collegare le capacità distintive di un’organizzazione al progresso sociale e ambientale che il core business mira a supportare.

Riassumendo: cosa fa il purpose?

  • Definisce la ragione d’essere principale dell’azienda e il suo impatto positivo sul mondo
  • Concorre a coltivare un’identità condivisa che informa sul come l’azienda crea valore per i suoi stakeholder
  • Influenza il modo in cui è gestita l’azienda, orientando le strategie e le decisioni soprattutto in momenti di crisi
  • Aiuta a liberare il potenziale delle risorse umane interne ispirandone l’azione e la motivazione
  • Fidelizza i clienti al brand
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